Perché il mondo si accorge solo ora di Gaza?
Spoiler: no, la ragione non è un improvviso interesse per i diritti umani.
Il mondo culturale e politico occidentale sembra essersi risvegliato solo adesso da un lungo torpore durato quasi due anni, durante quello che passerà alla storia come il primo genocidio al mondo ad avvenire in diretta social. Tutti abbiamo visto le immagini dei crimini israeliani fin dall’inizio della campagna militare sulla Striscia di Gaza. I volti dei bambini terrorizzati e ricoperti di polvere dopo i bombardamenti, i piedini che sporgono dai sudari bianchi, i neonati scheletrici nelle incubatrici lasciati a morire, le urla strazianti delle madri. Scuole, ospedali, ambulanze, operatori umanitari, abitazioni private: abbiamo visto davvero qualsiasi cosa o persona diventare target legittimo della furia genocida del governo israeliano. La vocina flebile e terrorizzata della piccola Hind Rajab che chiedeva aiuto al telefono con un’operatrice, prima di essere massacrata da un carro armato dell’IDF, ha fatto il giro del mondo. Ma non è bastata a far sì che politica e istituzioni prendessero immediatamente misure per proteggere la popolazione civile dalla pulizia etnica e dall’occupazione militare.
Né le manifestazioni di massa, né le proteste di scuole e università, né gli appelli alle istituzioni hanno fatto sì che qualcuno prendesse immediatamente posizione contro il governo di estrema destra israeliano. Anzi, chiunque si opponesse ai crimini israeliani contro Gaza veniva tacciato di antisemitismo e odio antiebraico. L’Unione Europea è sempre stata particolarmente timida nel condannare le brutalità israeliane sui civili inermi di Gaza. Esattamente il contrario di quando Putin ha invaso l’Ucraina: nel minuto stesso in cui i carri armati russi hanno sfondato il confine, sono stati comminati decine di pacchetti di sanzioni, l’esclusione degli atleti russi dalle Olimpiadi e dalle Paralimpiadi, lo stop al gas russo, l’invio di decine di milioni di dollari di armi all’Ucraina e la follia iconoclasta e russofoba che aveva travolto persino il povero Dostoevskij (e come dimenticarlo: anche i gatti russi, esclusi dalle competizioni feline). Israele invece non ha subìto, a oggi, alcun tipo di ripercussione per la campagna genocidiaria portata avanti nella Striscia, né per le occupazioni illegali e le colonie in Cisgiordania. E’ stato persino ammesso senza problemi all’Eurovision, nonostante le numerose proteste, dove si è qualificato secondo.
Oggi però qualcosa sembra star cambiando. L’Unione Europea per la prima volta parla di rivedere l’accordo di associazione con Israele, mentre diversi paesi iniziano seriamente a considerare il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina e a valutare sanzioni economiche ed embargo delle armi contro Israele. I massacri sui civili, il blocco degli aiuti umanitari, i bombardamenti sugli ospedali, sulle scuole e sulle ambulanze, però, ci sono sempre stati. Ed è da oltre un anno che le principali organizzazioni umanitarie denunciano il rischio di morte per fame di una consistente parte della popolazione di Gaza. E, sempre da oltre un anno, è in vigore il pronunciamento della Corte Penale Internazionale con tanto di mandato d’arresto per Netanyahu e Gallant, nonché l’allarme sul pericolo di genocidio e il vincolo per Israele di attuare tutte le misure necessarie per prevenirlo. Misure mai attuate.
Eppure, solo oggi il mondo politico e culturale occidentale sembra star prendendo davvero posizione. Il noto regista Nanni Moretti ha pubblicato pochi giorni fa un post su Instagram, rivolto a Netanyahu, in cui chiede “Quanti palestinesi devono ancora morire affinché tu sia soddisfatto?”. La trasmissione Mediaset Le Iene ha ospitato un bellissimo monologo di Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, invitata il giorno dopo anche su La7 nel programma Piazza Pulita. Ma non soltanto in Italia si inizia a parlare di Palestina con toni che non sono più quelli sommessi di poco tempo fa: il giornalista inglese Piers Morgan, da sempre strenuo sostenitore di Israele e oppositore delle manifestazioni studentesche pro-Palestina, ha incalzato duramente l’ambasciatrice israeliana nel Regno Unito insistendo sul fatto che Israele sta compiendo un massacro di bambini nella Striscia di Gaza. Addirittura il neocancelliere tedesco Merz si è esposto apertamente contro le iniziative del governo di Netanyahu, definendole “incomprensibili” e alludendo a dei possibili “passi” che la Germania, il più grande sostenitore di Israele in Europa, potrebbe intraprendere. Insomma, i toni stanno cambiando, e stanno cambiando rapidamente. Cosa sta succedendo?
Un’improvvisa attenzione per i diritti umani… o interessi geopolitici che stanno mutando?
Ciò che sta avvenendo è la risposta a una sempre più pressante insofferenza dell’opinione pubblica europea e americana sui crimini di guerra israeliani, sul silenzio di stampa e mondo intellettuale e sull’inazione dei governi, considerati conniventi col massacro. Sono davvero pochi gli intellettuali e le testate giornalistiche che hanno preso immediatamente posizione contro il massacro, mentre sono tanti, tantissimi, quelli che si stanno unendo solo ora al coro delle proteste. Si può dire che ormai è diventato impossibile tacere o sviare senza subire pesanti conseguenze reputazionali agli occhi del pubblico, che da oltre due anni assiste impotente alla distruzione deliberata di un intero popolo. Adesso è più facile parlare di Palestina: se prima c’era dell’imbarazzo anche nell’affrontare il tema, ora, dopo due anni di violenze indiscriminate sotto gli occhi del mondo, è diventato davvero imbarazzante non parlarne. Soprattutto in questi giorni, dopo che sono diventate virali le immagini dei palestinesi ammassati dentro delle gabbie in attesa di ricevere cibo nei punti di raccolta stabiliti dall’IDF e dagli Stati Uniti, che hanno scatenato un’ondata di rabbia e indignazione difficile da contenere.

Insomma, sostenere Israele o tacere sui suoi crimini sta diventando sempre più difficile, e non solo a livello di immagine per intellettuali e artisti.
C’è un riallineamento anche e soprattutto a livello politico. A dare il via alle prese di posizione sempre più forti contro i crimini israeliani è un’insofferenza sempre maggiore da parte degli Stati Uniti di Trump verso Tel Aviv. Infatti, le politiche del governo israeliano rischiano di compromettere l’egemonia statunitense in Medio Oriente e sono sull’orlo di far deflagrare la regione in un conflitto più ampio.
Infatti, l’obiettivo degli USA è mantenere la stabilità e arginare il più possibile l’influenza di Teheran in Medio Oriente. L’amministrazione Trump sta facendo sempre più pressioni affinché si raggiunga un accordo sul nucleare con l’Iran, mentre Netanyahu è molto più oltranzista e sta spingendo per un conflitto diretto con la Repubblica islamica degli Ayatollah, rischiando di destabilizzare ancora di più la regione e spingere gli alleati mediorientali tra le braccia di Teheran. Con lo Yemen degli Houthi, che sta creando non pochi problemi al traffico marittimo nello stretto di Bab-el-Mandeb, uno degli snodi commerciali più importanti al mondo, il rischio di incrinare le relazioni tra Israele e partner economici fondamentali per Washington come l’Arabia Saudita è dietro l’angolo. Il principe ereditario dell'Arabia Saudita e quello degli Emirati Arabi Uniti stanno puntando a una distensione dei rapporti con gli iraniani e stanno cercando a fatica di tirarsi fuori dall’estenuante conflitto ormai decennale con gli Houthi in Yemen. Entrambi sono favorevoli a un accordo con l'Iran che eviti un conflitto regionale, ed entrambi hanno sostenuto la fine della campagna statunitense contro gli Houthi. Ma le politiche israeliane in Medio Oriente rischiano di mandare all’aria i piani dei Paesi del Golfo.
Ma non è solo questo. Rapporti distesi con le monarchie del Golfo sono fondamentali per lo sviluppo della Via del Cotone, essenziale alternativa commerciale alla Via della Seta cinese, che vede Arabia Saudita e Israele come hub strategici e connette Europa, Medio Oriente e India. Ma la sua realizzazione passa soprattutto attraverso la normalizzazione dei rapporti tra sauditi e israeliani tramite gli “Accordi di Abramo”, che però sono a un punto morto da dopo l’inizio della campagna di Gaza. La guerra non fa bene al commercio, e Israele rischia davvero di essere isolato in Medio Oriente. E se Israele viene isolato, l’egemonia della Casa Bianca nell’area rischia di essere seriamente messa in discussione.
Anche i governi dei paesi arabi stanno avendo un gran da fare nel cercare di gestire le opinioni pubbliche interne, tutte apertamente schierate con la Palestina, e sono in forte imbarazzo per il fatto di star comunque mantenendo rapporti economici e commerciali con Tel Aviv. L’occupazione ogni giorno più violenta della Striscia di Gaza sta radicalizzando sempre di più il mondo arabo, che inizia a vedere nell’Iran e nei suoi alleati Houthi gli unici argini allo strapotere e all’impunità israeliana. Ma non è l’unico problema che i paesi arabi si trovano a gestire. Israele infatti sta spingendo sempre di più e sempre più apertamente per l’espulsione totale dei palestinesi dalla Striscia. Questo non significa solo l’attuazione di una vera e propria pulizia etnica: a livello politico, significherebbe sfollare oltre due milioni di persone verso Egitto e Giordania, entrambi buoni alleati degli Stati Uniti, che si ritroverebbero a dover gestire un afflusso senza precedenti di profughi che non hanno né intenzione, né la capacità di accogliere. E’ anche per questo che le politiche del governo israeliano rischiano sempre più di raffreddare i rapporti tra gli Stati Uniti, che continuano comunque a inviare supporto militare ed economico a Tel Aviv, e gli altri partner mediorientali.
Insomma, gli statunitensi sono sempre più insofferenti verso Netanyahu, perché è un alleato che non riescono più a controllare. E quindi, adesso il probabile obiettivo è quello di isolare il primo ministro israeliano, pur senza mettere in discussione la legittimità di Israele in quanto partner fondamentale di Washington. Ed ecco qua che improvvisamente il massacro è diventato intollerabile, ed esporsi sulla Palestina è tutto a un tratto molto più facile: non è una casualità o un’improvvisa presa di coscienza, ma il segno di un chiaro riallineamento geopolitico.
Ho appena letto tutti e due gli articoli che sinceramente li considero molti interessanti sugli argomenti della geopolitica della nostra attualità . Bravissima Benedetta Sabene
Grazie!